Un delirio costruttivo inspiegabile, di cui chiederemo spiegazioni. Quali motivazioni nel 2009 (non nel 1965-70) possono portare a tali scempiaggini. In un periodo storico in cui tutti sanno che si dovrebbe recuperare piuttosto che costruire, ristrutturare (i manufatti prestigiosi) piuttosto che abbattere? Quali sono gli interessi pubblici che spingono in tali direzioni e perchè non vengono spiegati alla gente? Questo è ciò che vogliamo sapere.
I punti critici che coagulano un grande dibattito, cui partecipano anche giornalisti, architetti, magistrati riguarda il “senso” di costruire nel 2009 una grande e inutile "periferia in centro", e che questa non solo diventi inevitabilmente marginale, ma corroda culturalmente un borgo storico di antichissima tradizione che sta, da qualche anno, rivivendo uno dei suoi migliori periodi intellettuali (si veda il Festival della Mente, ma anche Sconfinando, l'antiquariato, i libri in strada, la musica (Acoustic Guitar e lirica) e turistici, con una buona popolarità nazionale ed internazionale, e, come tutti sanno, con una grande frequentazione locale (il passeggio, lo shopping e i ritrovi)) che in buona parte sostituisce e oscura il capoluogo. Operazione letale già avviata 2 anni fa allorché l’ex pastificio Biava (Via Muccini) fu demolito e trasformato in qualcosa che fa capire bene ciò che intendo per “periferia in centro” (luogo raramente frequentabile, triste, poco amato, come lo è via Carducci a Spezia)
Vorremmo incominciare ad imporre, attraverso lo strumento partecipativo (e non solo la delega alla politica) la presenza dei cittadini ed il loro coinvolgimento nei dibattiti sulla progettazione di idee e ipotesi progettuali, e sulle scelte urbanistiche ed architettoniche legate al nostro territorio che abbiano “rilevanza” sociale, ambientale, economica ed estetica. Dove per rilevanza si intenda “costruzioni la cui localizzazione, morfologia e struttura possa modificare l’ambiente, deformandone l’habitat, riducendo il verde pubblico e privato, distruggendo colture (e anche culture, in senso antropologico – costumi, tradizioni e consuetudini locali) limitando aree pubbliche (piazze), depotenziando le naturali bellezze di una città che dal ‘500 mantiene una sua coerenza architettonica e urbanistica. E che sino agli anni ’50 così si è mantenuta (per poi raggiungere il suo massimo sottosviluppo con l’ultimo assedio degli ipermercati sulla variante Aurelia).
Miseria e povertà (ma anche amore per la tradizione), sino a quegli anni, sono state le grandi alleate delle tradizioni architettoniche e urbanistiche della nostra vallata e hanno preservato dal cemento molti dei borghi storici: oltre a Sarzana, Ortonovo, Castelnuovo, Monte Marcello, Nicola, Arcola, Santo Stefano… E’ ad esse che si deve ciò che rimane del paesaggio e delle tradizionali unità costruttive, non dalla lungimiranza politica di allora, né alla sensibilità per l’ambiente.
Noi non vogliamo regredire romanticamente alle fatiche contadine per poter salvare il territorio, ma sostituire con una nuova cultura (ecologica, estetica, architettonica, produttiva) l’impoverimento culturale determinato dalle logiche fallimentari dei centri commerciali, che ormai soffocano i borghi, l’estensione eccessiva delle aree artigianali e industriali (spesso improduttive) e l’infittirsi abitativo che ha trasformato radicalmente - e forse già irreversibilmente il paesaggio - e che non mostra ancora nessun cedimento né rallentamento.
L’argomento potrebbe agevolmente estendersi a tutta la piana della Valle del Magra, dal Progetto Marinella agli incredibili e surreali containers di Santo Stefano.
Uno degli elementi attualmente maggiormente produttivi e redditizi per la nostra zona è il turismo. E un turismo che cerca sempre più di ritrovare coniugati bellezza-natura, tradizioni- paesaggio, mare-ecologia, non ama il cemento, non compra case, non ne affitta per la vacanza.
Si tratta di una tra le tante situazioni preoccupanti in Liguria. Il libro di Preve e Sansa sul cemento in Liguria, o anche le frequenti e laconiche note di Piero Ottone (l’ultima dal titolo: Hotel a Portofino l’ultima sconfitta) sono segnali evidenti di una perdita di controllo dei cittadini e della politica sulle scelte urbanistiche “rilevanti” per la gente.
I tempi sono molto stretti, e questa torre di mattoncini alta come un grattacielo sarà tra poco progetto in approvazione, insieme a 9 palazzotti enormi in pieno centro Sarzana.
I "segni" lasciati dalla prossima urbanizzazione non valorizzeranno il territorio, ne oscureranno invece altri più celebri lasciati da Papa Nicolò V, Calandrini, Fiasella. Non potenzieranno l'economia (il cemento riduce il turismo), avranno un duro impatto emotivo sulla gente, creeranno cattive immagini (visibilità sociale, ne parleranno i giornali nazionali) determineranno proteste (postume) di molti cittadini ora dormienti, ed infine avranno, come tutte le operazioni politiche veloci e poco partecipate, probabili e negative conseguenze sulla giunta.
Spero si capisca che il numero crescente delle adesioni, unite alla risonanza nazionale che i dati sulla edificazione in Liguria stanno attualmente provocando dovrebbe di regola "almeno" indurre qualche dubbio. Peraltro non credo che tutti i politici locali di maggioranza siano convinti della bontà delle progettualità in corso. Chissà che forse anche Botta non sia più molto convinto del "senso" di tale realizzazione in un contesto così piccolo. La torre non è un ponte di Calatrava, e la vallata non è l'Andalusia. Sarzana non è Hong Kong e Renzo Piano forse conosce, e sa cosa vuole, Genova. Mario Botta ha passeggiato per la città? Ha visto la bellezza di alcuni androni in via Mazzini, la leggerezza di certe altane?
Grazie, se potete in qualche modo diffondete le nostre preoccupazioni.
Roberto Mazza
sarzanachebotta@libero.it
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